Oggi mio padre avrebbe compiuto 80 anni.
Mi chiedo spesso come sarebbe diventato da vecchietto, se la sua pelle olivastra, levigata e perfetta, sarebbe mai stata scalfita da rughe o piccole macchie marroni, google dice che si chiamano lentiggini solari senili, che non potrò mai accarezzare con le dita creando figure sul suo viso piccolo e magro, con quei baffoni metà bianchi e metà neri.
Me lo sono immaginato con una delle sue camicie a scacchi attendere una torta con fragole e panna, spegnere le candeline con gli occhiali abbassati sul naso, con quel suo modo di fare che per tutta la vita ho trovato sgradevole e che solo con lo sguardo dell’età adulta riesco a comprendere che fosse in realtà un enorme disagio, una perenne sensazione di sentirsi inadeguato, un bisogno fisiologico di non essere visto.
Proprio come me.
Mio padre è cresciuto in orfanotrofio e la sua mamma è andata a riprenderlo quando è riuscita a salvarsi dalla fame della guerra, il suo papà era un militare che non l’ha mai riconosciuto, non so praticamente nulla di lui, ho solo una vecchia foto ingiallita.
Ho sofferto molto da piccola. Quando ha avuto il suo primo infarto avevo solo 8 anni, riesco a ricordare solo le luci di Natale, sarà per quello che non mi è mai più piaciuto. Non l’ho visto per tanti, tanti mesi. Ricordo che una volta mi hanno portata in ospedale ma non me lo hanno fatto vedere, le mani strette in un pugno, dentro di me ripetevo: non devi piangere.
Dovevo essere forte per la mamma, dovevo diventare grande in fretta e occuparmi di loro, dovevo trovare il modo di rendere immortale chi amo.
È tornato a casa poi, ma non era più il mio papà, non era più quello che mi metteva sulle spalle e correva per casa urlando “colò colò”, fermandosi davanti a ogni superficie riflettente dicendo “Ma chi è quella bella bambina? È la mia gioietta, è la mia bambina!”.
Le tante medicine, la paura di morire, lo avevano reso ancora più introverso, triste, solitario. A parte quando raccontava le barzellette mimandole e facendo le voci, un grande talento che ho modestamente ereditato, e quando guardava in loop i film che lo facevano ridere, tipo Fantozzi.
Avrei voluto avere da ragazzina la consapevolezza che ho oggi per non lasciarlo solo, per spiegargli che poteva riposare, dormire, ascoltare il suo corpo, che noi ce la saremmo cavata da sole. E invece ho vissuto la classica adolescenza conflittuale fatta di litigi, urla, muretti di casa scavalcati nel buio. E più stava male e più mi incazzavo e lo incolpavo della mia vita di merda.
Ancora un infarto e poi un altro e più stava male e più lo odiavo perché avevo bisogno del mio papà. Oggi, ho ancora bisogno del mio papà. Ma tutto quel dolore mi ha portata a essere sempre più distante, è una cosa che faccio sempre con le persone che amo: scappare.
Con Luca le prime volte che dormivamo insieme c’era sempre quel momento in cui buttavo le mie cose in valigia e mi dirigevo piangendo verso la porta e lui che rimaneva seduto sul letto, sconvolto, cercando di farmi ragionare. Funziono così: più amo qualcuno, più lo metto da parte, mi allontano, mi rendo detestabile.
È lo scudo che ho costruito contro il dolore e la consapevolezza che mio padre sarebbe morto troppo presto. E così è stato.
Gli ho accarezzato la testa la prima volta quando era troppo tardi, se ci penso sono ancora sconvolta: stavo giocando a basket, ho iniziato a piangere e non sapevo spiegare il perché, mi è venuta voglia di chiamarlo ma era tardi. Non ho mai la suoneria del telefono attiva perché mi infastidisce, quella notte per qualche motivo lo era: non credo di aver mai urlato così forte e il tempo e lo spazio si sono piegati su se stessi e sono esplosi, non ricordo nemmeno come sono arrivata fino a lì da Torino, so solo che avevo le scarpe sporche di vomito e che ho dovuto fermare le macchina mille volte.
E poi ancora una volta: non devi piangere.
Chi ha letto le altre newsletter sa quanto la mia vita ruoti attorno alla possibilità di prendermi cura di mia madre, vorrei aver potuto fare lo stesso con mio padre: portarlo per la prima volta nella vita a teatro a vedere Rigoletto, nei musei, al mare; gli avrei comprato un pc per una volta non usato, un maglione caldo, una coperta di lana per la poltrona, degli occhiali fatti fare da un ottico. Avrei voluto, papà, renderti la vita migliore.
E lo so che tanto del tuo dolore, della tua incapacità di esprimerti, derivano da una sola, semplice condizione: quella di essere stato povero tutta la vita, altrimenti saresti stato un premio Nobel, questo è poco ma sicuro.
Ti cerco oggi come ogni giorno e ti ritrovo:
Quando sorrido e vedo i miei canini sporgenti.
Quando mi guardo attorno e vedo che sono circondata di libri, i tuoi libri, e penso che me l’hai propria attaccata quanta viscerale necessità di comprendere le cose, ti farei proprio vedere come non dormo la notte per studiare, connettere i puntini, dare un’interpretazione a quello che vedo e non capisco.
Nel mio essere una cagacazzi, polemica o, come mi ha definito uno stronzo qualche anno fa “fastidiosamente intellettuale”. Fossi qui ti manderei tutti i meme a tema “amo noi” con i personaggi più polemici della storia.
Tutto ciò che mi rimane è l’unico messaggio vocale su whatsapp che sei riuscito a mandarmi, avevi appena imparato a usarlo.
“Buonanotte amorino del papà”.
Buonanotte papà, buon compleanno, scusa se non ti ho mai detto “Ti voglio bene”.
Ogni volta leggere il tuo diario mi devasta. Attendo con ansia ogni tua pubblicazione e sei l'unico motivo per cui entro su Instagram.
In quello che scrivi percepisco tanta rabbia ma anche tanta, tantissima dolcezza.
Dolcissima dedica al tuo papà, mi ha commosso tantissimo. Doveva essere una persona tanto tenera, mi si spezza il cuore quando leggo ciò che scrivi e mi fa salire un'incazzatura tremenda.
Un carissimo abbraccio alla "fastidiosamente intellettuale" serena, che non è per nulla fastidiosa e che ama i neutral milk hotel e i molchat doma quindi ha sinceramente buon gusto
Invidio la tua capacità di mettere nero su bianco, in modo crudo, ma commovente, i sentimenti contrastanti che ti abitano e che purtroppo sono successivi alla morte di un genitore. Anche io dentro ho tante parole, tante sensazioni, tanti sentimenti ma sono aggrovigliati e non è facile trovare il bandolo della matassa. Ho pianto leggendo le tue parole. ti abbraccio forte e auguri a tuo papà per il suo compleanno. ciao