Lo so, non scrivo da tre mesi ma non potrete certo biasimarmi: del resto, sono solo fedele alle promesse di questa newsletter. La mia incapacità di essere costante anche in questo piccolo spazio virtuale è solo la dimostrazione del mio ennesimo fallimento, non trovate?
In realtà ho scritto molto spesso ultimamente, è sempre stata la mia valvola di sfogo nei periodi in cui non sto particolarmente bene ma poi mi son ritrovata a chiedermi: condividere parti così intime e profonde di me, non mi espone troppo agli occhi di persone che, forse, non incontrerò mai?Non mi rende fragile? Del resto, è qualcosa che faccio anche nella vita reale: cerco di mettere una barriera tra me e gli altri ma, allo stesso tempo, cerco qualcuno che mi stia così vicino da imparare che rumore fa il mio corpo quando respiro. Corro via e poi torno indietro, ancora e ancora, come quelle molle che vendevano sulla spiaggia di Cattolica quando pucciavo i piedi nell’acqua tenendo il nonno per mano e che guardavo ipnoticamente tra le mani dei venditori con le dita sporche di sabbia e la pella resa secca dal sale.
È un periodo di irrequietezza estrema, a maggio ho trascorso 12 notti praticamente senza mai dormire, ma ultimamente va così, sempre fuori, sempre a ballare, sempre a bere, sempre a cercare mani amiche che mi tengano per mano quando non riesco più a percepire il mio corpo, passando da un locale all’altro, da un quartiere a un altro, dal prendere un taxi per raggiungere chi è ancora sveglio dall’altra parte della città alle scarpe tenute in mano alle 7 del mattino sulla riva del fiume, vagando verso casa, in attesa di mangiare la pasta del ripiglio seduta sul divano mentre fisso il vuoto. Provateci, è un ottimo rimedio per svegliarsi in forma, anche dormendo poche ore. Spaghetti scotti e olio. Mangiare lentamente. Andare nel letto in posizione fetale un minuto dopo.
Perché vivo così? Non lo so, forse non mi sono mai sentita così sola, anche se non sono mai stata così circondata di persone che mi vogliono bene. La sera del mio compleanno c’era il temporale, non sono uscita, sono rimasta in camera al buio pensando che avrei fatto qualsiasi cosa per un abbraccio.
Forse per quello mi lascio cadere dentro locali dove la musica è troppo forte, le luci mi confondono la testa, le persone attorno a me diventano molli, sagome sfocate che pulsano , siamo tutti in un quadro di Francis Bacon questa notte.
È difficile sentirsi costantemente un’equilibrista tra desideri inespressi, tremando sotto il peso della mia diffidenza.
In questi giorni mi sembra di aver vissuto un frontale tra due corpi che si intrecciano come in un crash che ha infranto i vetri, dilaniato la carne, ribaltato costantemente i ruoli. Vorrei che io e te fossimo solo i protagonisti di un libro di Ballard con una passione morbosa per gli incidenti di percorso. Questo, è un incidente di percorso. Un’estemporanea rivolta alla razionalità della mia mente, alla rigidità dei miei movimenti, al doversi mostrare sempre perfetta, sempre razionale e sempre infallibile. Non ci riesco quasi mai coi rapporti umani. Mi piego a ciò che gli altri vogliono vedere di me. Finché l’inganno che mi sono cucita addosso come un tessuto di poco valore non inizia a strapparsi.
Chi sono io, a volte, non lo so più.
Cerco di pensare a quante diverse forme d’amore circondino la mia vita in questo momento: sono fortunata, anche se spesso mi sento come un vaso trasparente, di quelli riflettenti con diverso spessore sulla superficie, come un prisma. Cambio a seconda di come mi riempi, di come ti specchi attraverso di me. Deformo ciò che mi sta accanto. Quando posso scegliere tra essere riempita di acqua fresca e limpida e mercurio scuro e pesante, scelgo sempre la seconda opzione. Ho questa predilezione per farmi del male.
Una volta ho sognato di avere il cuore spezzato, lo raccoglievo raschiando con le dita sotto lo sterno, era polvere argentata conservata in un sacchetto di velluto. L’ho lasciato cadere per terra e qualcuno l’ha raccolto, usando ciò che rimaneva per dipingere il cielo e poi ha preso una torcia, l’ha puntata verso di me e ha iniziato a usare le mani come ombre cinesi per disegnarmi sul petto il cuore che non avevo più.
Mi sono svegliata piangendo.
Puoi disegnare con le dita su di me e rimettere insieme i pezzi?
Ogni tanto ripenso a una frase di 1984 di Orwell: Se vuoi un'immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano — per sempre.
La associo spesso ai quadri di Beksinski: un mondo disumanizzato dove arranchiamo soli, tra le macerie di un futuro perduto, con in sottofondo As Too Wrong degli Amnesia Scannner.
Puoi prendermi per mano e ricostruire tutto ripartendo dalle ceneri?
In realtà mi vergogno, ‘dicendole, non si rovinano forse le cose?’, ma lo dirò comunque: anch’io mi sento sola come non mai in questo momento e se da un lato razionalmente capisco che non lo sono, dall’altro tutto mi sembra perduto.