Il periodo delle feste è quello che mi fa sempre sentire più inadeguata.
Ho passato gli ultimi 15 anni della mia vita a cambiare case, città, amori, amicizie. Ho trovato un equilibrio a Torino negli ultimi due anni, sento finalmente di essermi circondata di persone che mi vogliono bene ma continuo a vedere me stessa come un albero storto che rimane disperatamente aggrappato al terreno, anche se le radici portanti sono state brutalmente sradicate da una lunga serie di tempeste.
Vorrei poter dire che c’è un posto nel mondo che riesco a chiamare “casa”, ma non è così e ogni volta che i miei amici tornano, invece, alla loro, non mi resta che continuare a girovagare per questa città grigia guardando il tepore delle famiglie attraverso i vetri delle vecchie caffetterie del centro.
Quando torno al mio paesello sui monti percepisco sempre un senso di vuoto, una malinconia assoluta. Ho perso di vista praticamente tutte le persone che hanno fatto le scuole con me, sono quasi tutti andati lontano da quel luogo che odora di lago e boschi e la mia famiglia è un puzzle a cui mancano i pezzi centrali: cerchiamo di unirci uno all’altra, ma tra di noi rimangono solo spazi vuoti.
Ripenso a quei pranzi infiniti dove ci stringevamo ogni volta un po’ di più per far stare tutti attorno a una tavola capeggiata dal nonno, d’estate arrivavano anche tutti i suoi fratelli, il mio preferito era lo zio dall’Australia e poi venivano tutti quelli scappati a Milano per trovare un lavoro e ci raccontavano per ore e ore com’era la vita negli anni ‘30. Il mio papà sedeva alla sinistra del nonno e la nonna era una grande cuoca, riusciva a cucinare in pentole piccolissime per 18/20 persone. Ora non si ricorda nemmeno più come si fa il sugo e piano piano tutti gli altri sono morti o cresciuti, creando altre famiglie, litigando tra loro, lasciando sempre più spazi vuoti in quelle sedie che ormai portavano, in qualche modo, il loro nome.
C’è un gioco che faccio spesso quando sono lì: prendo vecchie foto e le fisso nel tempo e nello spazio. Ritrovo quello che ho perso rinchiudendolo in piccoli frammenti di memoria. È l’unico modo per trovare un po’ di pace mentre cerco attorno a me sguardi che non esistono più.
Sotto le feste vedo di continuo sui social le guide per sopravvivere alle domande indiscrete dei parenti, ma è mai possibile che un essere umano non riesca a contestualizzare una domanda posta da qualcuno che è rimasto ancorato a vecchi borghi, vecchi valori e che diversamente dal fuorisede che rientra in terra natìa per le feste non ha avuto un’istruzione diversa da quella elementare e che pensa che quelle domande siano pura educazione nei confronti di qualcuno che vede poco?
Pensate di cambiare i social con dei post e non vi rendete conto di quanto è lontano da voi il paese reale, quanto non capiscano nulla di voi le persone vi hanno cresciuti. Mi mancano anche i parenti che mi stavano sul cazzo, quelli fastidiosi, quelli che hanno votato Berlusconi per 20 anni, quelli che mi hanno fatta alzare da tavola mille volte quando era un’adolescente, vorrei poterci litigare mentre giochiamo a carte, sono quelli che donano un po’ di colore alla discussione e crescendo li ho sempre visti per quello che sono: non parenti con cui andare necessariamente d’accordo ma esseri umani che non hanno avuto le mie stesse possibilità. Ricordatevi che le famiglie perfette non esistono e che quelle che vedete attraverso i social sono solo una posa innaturale messa insieme per vendervi un prodotto che non esiste, mentre una tata incoraggia un bambino a sorridere contro la sua volontà.
Sento sempre questo peso enorme nel petto durante le vacanze, vorrei camminare lungo lo stradone dietro la stazione e ritrovare quelle tavolate fatte di troppo vino e canzoni in dialetto sotto l’albero dei fichi ma tengo tra le mani quello che rimane e cerco di pensare che forse è arrivato il momento di creare degli spazi felici per me lontani da quei ricordi ormai sempre più sfocati.
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Grazie per aver messo per iscritto queste emozioni (purtroppo leggo solo ora questo post).
Mi ritrovo in ogni parola, in ogni immagine, in ogni incazzatura e malinconia.
Per un 2023 di scene più reali e meno immagini fittizie a prova di engagement.