40 Commenti
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Avatar di Francesca Bubba

Piangendo ogni mia lacrima. Grazie per trovare la forza di scrivere come scrivi, di pensare come pensi, di esserci come ci sei.

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Avatar di Laura

L’hai scritto con il sangue. Le tue parole,preziose, rappresentano l’urlo dell’umanità viva, contrapposizione al brandizzare se stessi, al privarsi di anima per lucro.

Per sempre grata.

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Avatar di Valeria

Ho pianto, ho pianto tanto perché proprio oggi mentre preparavo il pranzo mi rendevo conto che a volte è difficile accettare di non poter nemmeno avere un cassetto dove riporli, i propri sogni. Lavoro da quando avevo 16 anni, prendevo il pullman dopo scuola e finivo alle 2 di notte per aiutare mia mamma a pagare delle spese condominiali sempre troppo alte. Lei faceva tre lavori, io ne ho sempre fatti due, tranne quando a 24 ho conosciuto il mio compagno che mi ha spinto a iscrivermi all'università. Allora potevo sentirmi a posto con il mio senso del dovere e lavorare 40 ore più studiare. Dopo la laurea mi sembrava di avere una possibilità in più, ma il mondo va veloce, e la gente intorno raggiunge traguardi così grandi mostrandoli come trofei senza mostrare l'aiuto economico, anche il supporto, che una famiglia senza difficoltà può dare. Perché ormai è così: i soldi sono dati dai genitori ai figli per farli diventare adulti.

E mi fa rabbia, perché ho sempre pensato non fossero cose per me, il matrimonio, una seconda laurea, una casa manco a pensarci... Ma forse era perché sapevo che non le avrei mai raggiunte.

Ma adesso basta, da qualche tempo, la mia educazione viene superata dalla mia necessità di mostrare a chi si vanta di conquiste, che non più una questione di merito e impegno.

Grazie serena, per le tue parole

Non siamo sole

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Avatar di Isabella Reina

"La rabbia se non la anestetizzi brucia"... È bellissimo. Mi piace il modo in cui incanali la tua rabbia, i tuoi sogni, le tue riflessioni. Grazie per voler condividere, ti stringo forte

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Avatar di Mattia Marangon

Ciao Serena, hai scritto un bel pezzo, ma visto che mi hai citato ti rispondo nel merito.

Condivido gran parte della tua analisi sistemica: la disuguaglianza, la mancanza di possibilità, la mistificazione del successo individuale come se fosse sempre accessibile a tutti sono tematiche reali, drammatiche e sottovalutate nel discorso pubblico.

Ma è proprio per questo che penso sia importante distinguere i livelli: non so se l'hai letto fino in fondo (trovi la versione estesa qui su Substack), ma nel mio stesso pezzo denuncio il sistema, le sue storture, l'ascensore sociale rotto. Solo che un conto è denunciare questa meccanica, un altro è attribuire a chi si muove dentro questo sistema la responsabilità del sistema stesso.

Emily e Carlotta, i casi citati, non sono le "padrone di casa", non dettano le regole della visibilità, né hanno il potere di ridefinire cosa vale o cosa no. In questa storia sono l’effetto, non la causa. E dire questo non significa assolvere l’intero meccanismo (di cui, ripeto, sono estremamente contrario), ma vuol dire solo evitare di spostare la rabbia su chi nel sistema ci lavora. Perché sotto i loro post c'è stata una vera shitstorm.

Dal mio punto di vista è troppo facile puntare il dito su di loro, che sono la rappresentazione fisica di queste storture. Ma la vera guerra da fare è verso l'alto, smettendo magari di seguire questi profili, sicuramente non commentandoli e offendendoli sotto i post, e in generale usando i social in maniera più consapevole. Che gli algoritmi sono "scritti da qualcuno", ma poi siamo proprio noi con i nostri clic e la nostra rabbia ad alimentarli.

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Avatar di Giorgia

Questo tuo scritto mi ha toccata moltissimo, in un momento molto intenso da un punto di vista professionale ma anche personale; sono una studentessa della magistrale di psicologia sociale e del lavoro, e tra i temi che mi appassiona approfondire c’è quello dell’impatto del neoliberismo sul benessere delle persone, e penso che se questo tema mi appassioni cosi tanto è soprattutto grazie a te che sei sempre stata sul pezzo, ad andare contro a realtà figlie di queste logiche capitalistiche trasformate da palliativi omeopatici. Sono stata anche io seguita da psicoterapeuta e psichiatra per disturbi dell’umore e disturbo da panico (quest’ultimo presente tutt’ora legato specificamente alla sfera lavorativa in cui mai mi sono sentita all’altezza, perchè non esiste un soffitto a questa sensazione). Ammiro la forza che hai di trasformare la tua storia anche in una possibilità di riflessione socio-politica, non dovrebbe essere necessario in un sistema che si professa vicino al benessere delle persone, anche se mi vergogno di chiamarlo sistema poiché sarebbe quasi possibile fare un elenco di nomi e cognomi di persone che lo hanno elevato a ideologia socio-culturale.

Sento/leggo esperienze di persone che ho conosciuto, e incredibilmente la maggior parte di queste non riesce (almeno consapevolmente) a sentire il comune denominatore sociale alla sofferenza, c’è individualismo e competizione anche nella sofferenza, come se il monito “c’è sempre chi sta peggio” non è solo un modo arrogante e cinico per auto-consolarsi, ma un altro modo per gonfiarsi l’ego. Tutto questo, la tua storia, la mia storia, il crescente numero di casi di persone che si ammalano, le crisi umane, le guerre, non può essere tutto un caso, son sempre stata convinta che ci fosse un collegamento ed effettivamente è cosi.

Ho iniziato recentemente a leggere e scrivere qualcosa, a mettere ordine, rispetto le ricerche psicologiche svolte che hanno indagato l’effetto del neoliberismo nel benessere psicologico delle persone. Vabbè a parte il fatto che ne hanno condotte pochissime, non solo per il leggero disinteresse nel tema, ma anche per la difficoltà strutturale di indagare qualcosa di così pervasivo e sistematico nella quotidianità di tutti noi, i dati ovviamente confermano l’ipotesi che mi ha guidata a questa ricerca: che la malattia mentale è personale ma anche sociale, che l’individualismo uccide, che esiste un modo unico di soffrire ognuno dipendente dalla propria storia, locazione geografica, disposizioni ambientali di crescita, personalità, eventi unici, ma questa “unicità” ha una matrice che si adatta alle ideologie (ma anche miti) propagati dalla cultura neoliberista.

La spinta che sento nel documentarmi e analizzare questo fenomeno nella mia disciplina nasce anche dal fatto che nella mia scuola la psicologia viene strettamente insegnata seguendo queste ideologie, che ho sentito strette rispetto a come nel passato il funzionamento psicologico è stato studiato e concepito. Quando in aula riflettiamo sui risultati degli studi si parla di stress lavoro correlato, di conflitti lavoro-famiglia, di contratti psicologici senza mai lontanamente nominare le possibili cause sociali a tutto questo, ho la sensazione che ignorarle dipenda non solo dalla difficoltà di analizzarle scientificamente, ma anche dal voler enfatizzare la dimensione individuale, piuttosto che usare questi dati anche per una consapevolezza collettiva su come queste ideologie possono influenzarci pervasivamente. Inoltre, non si parla quasi mai di gruppi, di sostegno sociale, di come co-costruire questo fatidico sostegno sociale e come far si che questa sia una risorsa e non un campo di battaglia in cui paragonarsi.

Magari quello che ti ho scritto può esserti risultato banale o cose che già sapevi, ma ci tenevo a condividere questo pensiero con te. Penso che parlarne, studiarle, analizzarle possa essere considerato un atto scientifico ma anche politico, porre consapevolezza alle persone è un atto di attivismo che permette di far del bene a qualcuno, di aprire una crepa per la messa in discussione critica del sistema.

Di ciò che fai, della forza che ci metti, del coraggio che hai te ne sarò sempre grata.

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Avatar di Silvia Gian

Coraggiosa, feroce e giusta. Perché l’invidia è il soprannome dell’ingiustizia sociale, in Italia.

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Avatar di Silvia Gian

E altrove. Grazie Serena. Un abbraccio di classe ♥️

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Avatar di AnnaTerra

Deve finire prima o poi questo sistema.

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Avatar di Giorgia Beduini

Ti abbraccio. Sei una delle persone più coraggiose che io conosca, ma prenditi il tempo che ti serve, è più importante la tua salute.❤️

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Avatar di Blu_Amanita

Mi spiace tu sia stata male per la presentazione a BG perché ammiro tantissimo il tuo lavoro e il modo in cui scrivi mi smuove dentro. Speravo tanto di incontrarti di persona, anche solo per ringraziarti di tutto quello che fai. Spero ci saranno altre occasioni in futuro, quando starai meglio, quando avrai trovato di nuovo un equilibrio, dovessero anche volerci anni. Quando accadrà spero mi concederai di abbracciarti perché non credo di poterti esprimere a parole quanto io ti senta vicina, affine e amica nonostante siamo due perfette sconosciute. Sei un faro, Serena.♥️

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Avatar di Andrea Melchiorre

Scrivo con quasi vent'anni più di te. Abito un mondo diverso dal tuo, ma ugualmente ingiusto. Ti ammiro, perché hai elevato la rabbia individuale a istanza collettiva. E ti chiedo anche scusa, perché la mia generazione non vi ha insegnato le categorie politiche che noi abbiamo apprendeso dai vostri nonni. Ti chiedo scusa perché vi abbiamo fatto credere che il disagio è una malattia della mente, un fatto individuale, e non un'istanza collettiva repressa. Lo abbiamo fatto in buona fede: pensavamo che si potessero archiviare le ideologie in nome del pragmatismo. Non ascoltare chi critica le tue parole dicendo che scaturiscono dalla tua situazione personale. Anche chi ha fatto la rivoluzione francese aveva fame, ma quella fame non ha impastato il pane: ha scritto nelle costituzioni europee "libertà, uguaglianza e fraternità". Concedo pure che le tiktoker hanno fatto un duro lavoro, ma anche Sisifo faticava una fatica inutile. Il lavoro non ha valore solo perché "duro", ha valore se porta un'utilità ai propri concittadini. Chi ti scrive che il mondo va così, dimentica, forse, che dovrà attraversare l'inverno, prima o poi, e in quella stagione serve chi sappia guarire il corpo e riacaldare l'anima ... servono a poco, in quei momenti, i tiktoker milionari che mostrano i loro successi personalissimi.

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Avatar di Eleonora C. Caruso

Il privilegio non riconosce mai se stesso. La cosa tragicomica è che se lo facesse, sarebbe già un passo avanti per fare sentire un po' meno di merda noi sfigati.

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Avatar di Francy

Grazie Serena, per le tue parole.

E cerca di riposare, recupera le forze, la nostra rivoluzione ha bisogno di te!

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Avatar di Laura

Mi é venuta l’ansia, sono arrabbiata e triste. Tutto dopo aver letto il tuo articolo. Esattamente come mi sento ogni giorno della mia vita, seppur privilegiata, rispetto alla maggior parte delle persone, ma costantemente in bilico per far sì che ai miei figli non manchino opportunità minime.

Ps ho ripreso a lavorare un mese dopo il parto perché questo Stato di M. non consente alle partite iva dignità, se non morendo appresso ai soldi.

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Avatar di Enrico

Ho letto tutto. Ho sentito la fatica, la rabbia, la disillusione. E anche la lucidità, a tratti.

Ma mi ha lasciato addosso una sensazione ambigua. Perché sì, il sistema è ingiusto, la precarietà è feroce, e alcune fratture generazionali sono reali. Ma ogni esperienza raccontata qui viene spinta dentro una tesi già scritta, come a voler dimostrare qualcosa che è già stato deciso in partenza. Ogni sofferenza diventa subito prova politica, ideologica.

Non c’è più spazio per il dubbio. Solo per la conferma. In altre parole: ogni esperienza mi sembra stiracchiata, piegata, selezionata per rafforzare una tesi politica e morale già formata. Cioè che il sistema è ingiusto, il capitalismo opprime, chi sta bene è colpevole o inconsapevole, tu sei una vittima consapevole e quindi “più giusta”.

Eppure proprio nel tuo racconto ci sono scelte, persone, percorsi che meritano valore in sé. Se tutto è colpa del sistema, allora anche ciò che stai facendo – il tuo libro, la tua denuncia, la tua consapevolezza – sono solo sottoprodotti di una gabbia. E allora perché ascoltarti? Perché crederti?

Hai trasformato il dolore in un prodotto, la consapevolezza in una posa, la stanchezza in un’estetica. E finisce che tutto ciò che non coincide con questo dolore viene escluso in partenza, non come scelta consapevole, ma come riflesso automatico.

Quando il dolore diventa ideologia, invece che lente o scintilla, qualcosa si perde.

Tu dici che l’invidia è una forma di lutto. Io credo sia vero a volte. Ma credo anche che, in certi casi, sia solo il modo in cui trasformiamo la frustrazione in alibi.

Non tutti ce la fanno solo per fortuna o privilegio, non tutti restano indietro per colpa del sistema. Esiste una cosa che si chiama complessità. E questo linguaggio la cancella.

Il rischio è confondere la rabbia per giustizia, l’invidia per ragione. E la stanchezza per verità.

Io, ad esempio, non ho avuto grandi fortune. Ma non ho mai odiato chi ce l’ha fatta. Non credo che serva una rivoluzione per ricominciare, ma una lingua più paziente. Più lenta. Che non trasformi ogni dolore in una colpa esterna e ogni disagio in una guerra di classe.

Capisco da dove scrivi. Ma non condivido dove vuoi arrivare.

E forse è proprio questo il punto: oggi la voce più fragile è quella che dice “non so”. Quella che ascolta invece di schierarsi. Che cerca di capire le ragioni di ogni parte, inclusa la tua, senza la pressione di dover dimostrare che qualcuno stia sbagliando, che quel qualcuno ci voglia solo schiacciare. Che ci sia, in fondo, un colpevole.

Ma chi cerca davvero la verità non fa rumore. E forse per questo è più difficile da trovare.

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Avatar di Valeria

Sei speciale!!

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